L'acquarello di Franco Fiorucci

Fiorucci Franco nasce nell'officina della sua stessa città, con memorabili maestri del disegno e dell'incisione quali Carnevali, Castellani, Ceci, Buscaglia, Battistoni, solo per dire di alcuni di diversa generazione, che hanno trasmesso l’arte ad uno stuolo di allievi che oggi rappresentano in prima fila italiana e che hanno dato un contenuto storico a quella che comunemente, ormai, viene definita "la scuola d’Urbino".

Il giovane Fiorucci ebbe subito il "gradimento" dei colleghi per l'originalità e la qualità del suo disegno e le capacità di incisore che si esprimevano in modo molto personali nel confronto con il paesaggio e le cose usuali del suo ambiente.

Che fosse nato disegnatore, che in lui il disegno fosse più che una disposizione un linguaggio naturale non tardano ad accorgersene tutti, cosicché la scuola migliorò solo certi accorgimenti tecnici e certi modi del mestiere necessari in ogni espressione d'arte.

In Fiorucci il disegno è fondamento e radice di tutto quello che ha fatto sino ad oggi. L'ho scritto già parecchi anni fa quando ebbi modo di percorrere un'ampia carrellata dei suoi schizzi, nei quali la sicurezza del segno e la scioltezza espressiva - quella che dire la "parola" del disegno - era di una qualità superiore, rispondeva cioè già ad una completezza da cui poteva nascere ogni altra esperienza. Qui dovrei fare l'elogio del disegno come base dell'espressione perché il resto non è che una variazione o un'aggiunta al disegno.

Per riferirmi ad un altro settore dirò che ai giovani che mi presentano le prove pratiche, suggerisco sempre che prima bisogna scrivere una buona prosa o un racconto.

Così in analogia a quanti mi mostrano i loro quadri (quanta gente dipinge e quanti poeti sono sparsi per la Penisola) sempre raccomando di cominciare a meditare con il disegno.

E' questa un'espressione dove non è possibile barare, dove non può esserci né contrabbando né iniziative, vale a dire quelle tante forme di inganni che s'infiltrano nelle arti visive del nostro tempo.

Se si osservano alcuni disegni di crostacei o di animali di Fiorucci (i soggetti della campagna e del mare familiari all’artista) si coglie la straordinaria sicurezza, la giusta competizione dei particolari, ed insieme un lucido ordinamento architettonico. Da sempre: perché a vent’anni Fiorucci stupiva per la mirabile rappresentazione così come fa oggi; oggi forse con una maggiore capacità di sintesi e velocità del tratto. L'accostamento chiaroscurale con le masse, la linea sottile ripetuta, le fasce di neri solidi, morbidi e vibranti danno alla costruzione un’unitarietà ineccepibile anche nello schizzo più veloce e nell'appunto tratto da una impressione.

Ma a questo punto vorrei fermarmi su quello che considero il momento più alto dell’operazione espressiva di Franco Fiorucci e cioè l’acquarello permettendo un personalissimo pensiero che ho derivato dall'osservazione di questa tecnica e soprattutto tenendo presente l’estrazione dei migliori acquarellisti di oggi (quelli buoni sono piuttosto pochi).

L'acquarello è un disegno colorato: l'ovvietà dell'equazione diventa meno banale se si pensa che mentre il disegno lascia spazio ad un pentimento o ad una correzione, l'acquarello vuol essere un'illuminazione, deve svolgersi come una folgorazione che scende nel foglio con una pienezza ed una esattezza tonale che non può essere ripetuta.

Occorre uno stato di grazia particolare che sappia misurare ogni vibrazione che riassume tonalità e struttura del disegno senza averne le linee portanti.

Negli incisori del Novecento c'è una particolare disposizione all'acquarello (e mi fermo a due riferimenti: Morandi e Maccari).

C’è una conseguenzialità e forse complementarietà. Non saprei dire perché Fiorucci ad un certo momento ha trasportato il disegno e l’acquaforte nell’acquerello: quello che mi pare chiaro è che lo ha fatto per gradi, ricercando una stesura anche nuova rispetto alle modulazioni del disegno e dell’incisione stessi.

La puntualità e le simmetrie del disegno diventano sintesi descrittiva di un idillio con sentire leopardiano, una lettura sempre più prolungata e ripetuta dei suoi fogli straordinari. Ma Fiorucci è un’artista raro e discreto: ha il dono della poesia e nell'acquarello raggiunge - mi pare si debba dire - una eccezionale intensità di dettato così che ogni suo foglio è una pagina di poesia, di resistente poesia. La finezza del colore e la giustezza delle velature che usurano lo spazio e giocano con la luce, offrono nuove suggestioni ogni volta che si guarda: appunto come avviene con la vera poesia che rinnova l’eco interiore.

Da "La luce sui pioppi"
Edizioni L'Astrogallo, 1991

Maggio 1989
Valerio Volpini

Le virtù del Disegnatore

Nell'introdurre alle testimonianze raccolte per Franco Fiorucci mi pare necessario sottolineare una considerazione che anche altri hanno fatto (lasciandomi ad un discorso compiuto per una prossima occasione) e cioè che egli possiede in misura eccezionale tutte le "virtù" del disegnatore. Ma perché non appaia un’affermazione inutile e trita aggiungerò che con questa intendo attribuirle l’uso perfetto di tutte le complesse possibilità grammaticali e sintattiche del segno che - oggi - con troppa faciloneria si credono non più necessarie quando addirittura non si reputano ostacoli per la comunicazione artistica. Si tratta di un patrimonio certamente assorbito per naturali eredità ma anche attraverso un costante impiego di intelligenza e di sacrificio, soprattutto attraverso l’impiego di un’umiltà interiore che, del resto, lo caratterizza anche umanamente. Senza voler divagare, e solo per non essere frainteso, aggiungerò ancora che penso sia necessario collocare nel retroterra di ogni modo di comunicare una precisa coscienza, una convinta identificazione degli strumenti perché possano funzionare come retroterra e fondamenta di tutte le possibilità dell’artista. Penso, insomma, che le "virtù" del linguaggio (non virtù formali, non specifiche nella loro particolarità ma soltanto nella loro essenza) contano come elementi necessari di libertà creativa e come mezzo di autenticazione della poesia e di credibilità di una ricerca qualunque sia il linguaggio scelto. Fiorucci, infatti, non è mai caduto nella trappola di una libertà pretestuosa o di una ricerca formale ma si è tenuto in costante coscienza tra i mezzi e i fini del proprio discorso. Anche se - poniamo - per il futuro dovesse staccarsi dalla maniera figurativa potremo star sicuri che egli non farebbe a meno di questa sua cultura.

L'unità del segno, la capacità di raccogliere le strutture, di dare valore ai contenuti non è per lui abilità tecnica o mestiere ma applicazione di una poetica, sostanza e significato di quel che ci pone davanti dopo la propria osservazione e la propria contemplazione della realtà. E se di confrontano i passaggi e gli stessi contenuti o le diverse tecniche questa forza disegnativa appare poi trasformata in parola.

Fano, 1974
Valerio Volpini


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